L'incerto futuro della produzione di cereali
Secondo una nuova analisi, la produzione mondiale delle principali colture cerealicole, tra cui riso e grano, avrebbe raggiunto un tetto massimo di resa. Le previsioni sulla capacità futura dell'agricoltura di sfamare una popolazione mondiale in continua crescita sarebbero quindi troppo ottimistiche, poiché si basano sull'ipotesi che le rese continuino a crescere allo stesso ritmo degli ultimi cinquant'anni (red)
Il 30 per cento circa delle principali colture cerealicole mondiali, tra cui riso e grano, potrebbe aver raggiunto la massima resa possibile, quindi le stime sulla capacità futura della produzione alimentare di soddisfare una popolazione umana in continua crescita potrebbero essere troppo ottimistiche. L'analisi che ha condotto a questo preoccupante scenario è di un gruppo di ricercatori dell'Università del Nebraska a Lincoln che la illustra su “Nature Communications”.
Patricio Grassini e colleghi osservano che le attuali previsioni sulla produzione agricola si basano prevalentemente su proiezioni delle tendenze degli ultimi cinquant'anni, senza tener abbastanza conto del fatto che il periodo è stato caratterizzato dalla rapida adozione e diffusione di nuove tecnologie, grazie a cui sono stati ottenuti aumenti relativi nelle rese per ettaro che potrebbero non essere più raggiungibili.
A sostegno di questa ipotesi, i ricercatori hanno esaminato l'andamento degli aumenti delle rese nei più importanti paesi produttori di cereali. I risultati hanno mostrato che in tempi recenti in un significativo numero di paesi il tasso di aumento dei rendimenti è progressivamente diminuito o si è addirittura azzerato, dimostrando che la resa aveva ormai raggiunto un tetto difficilmente superabile. Questo fenomeno, osservano gli autori, interessa in particolare l'Asia orientale, l'Europa nord-occidentale e gli Stati Uniti.
In Cina, per esempio, nel periodo 2010-2011 l'aumento delle rese nel grano è rimasto costante rispetto agli anni 2002-2003, ma quello della resa del mais è diminuito del 64 per cento. Negli Stati Uniti l'aumento delle rese per il mais si è letteralmente appiattito, e questo nonostante un aumento del 58 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore agricolo fra il 1981 e il 2000. (Nello stesso periodo in Cina gli investimenti sono addirittura triplicati). A livello globale, questo fenomeno di stagnazione delle rese interessa il 33 per cento della produzione di riso e il 27 per cento della produzione di grano.
Secondo i ricercatori, un'ipotesi che può spiegare il manifestarsi di questi plateau è che i rendimenti medi agricoli si stiano avvicinando al limite biofisico per le colture in quelle regioni. Questo sembra in particolare il caso dei sistemi di produzione ad alto rendimento per il riso in Asia orientale (Cina, Corea del Sud e Giappone), per il grano nell'Europa nord-occidentale (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca) e in India, e per il mais in Europa meridionale (Italia e Francia).
Negli altri paesi, o per altre colture, al manifestarsi di questi plateau possono poi contribuire altri fattori, dai cambiamenti climatici, al degrado del territorio, alle politiche relative all'uso di fertilizzanti e pesticidi, fino a investimenti insufficienti.
In ogni caso, concludono gli autori, "la sopravvalutazione delle previsioni dei raccolti porta a stime del fabbisogno di terreni per la produzione di colture che sono troppo basse e riduce la capacità di pianificazione strategica efficace e la definizione delle priorità di ricerca per garantire la sicurezza alimentare futura e la conservazione delle risorse naturali”.
Patricio Grassini e colleghi osservano che le attuali previsioni sulla produzione agricola si basano prevalentemente su proiezioni delle tendenze degli ultimi cinquant'anni, senza tener abbastanza conto del fatto che il periodo è stato caratterizzato dalla rapida adozione e diffusione di nuove tecnologie, grazie a cui sono stati ottenuti aumenti relativi nelle rese per ettaro che potrebbero non essere più raggiungibili.
A sostegno di questa ipotesi, i ricercatori hanno esaminato l'andamento degli aumenti delle rese nei più importanti paesi produttori di cereali. I risultati hanno mostrato che in tempi recenti in un significativo numero di paesi il tasso di aumento dei rendimenti è progressivamente diminuito o si è addirittura azzerato, dimostrando che la resa aveva ormai raggiunto un tetto difficilmente superabile. Questo fenomeno, osservano gli autori, interessa in particolare l'Asia orientale, l'Europa nord-occidentale e gli Stati Uniti.
In Cina, per esempio, nel periodo 2010-2011 l'aumento delle rese nel grano è rimasto costante rispetto agli anni 2002-2003, ma quello della resa del mais è diminuito del 64 per cento. Negli Stati Uniti l'aumento delle rese per il mais si è letteralmente appiattito, e questo nonostante un aumento del 58 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore agricolo fra il 1981 e il 2000. (Nello stesso periodo in Cina gli investimenti sono addirittura triplicati). A livello globale, questo fenomeno di stagnazione delle rese interessa il 33 per cento della produzione di riso e il 27 per cento della produzione di grano.
Secondo i ricercatori, un'ipotesi che può spiegare il manifestarsi di questi plateau è che i rendimenti medi agricoli si stiano avvicinando al limite biofisico per le colture in quelle regioni. Questo sembra in particolare il caso dei sistemi di produzione ad alto rendimento per il riso in Asia orientale (Cina, Corea del Sud e Giappone), per il grano nell'Europa nord-occidentale (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca) e in India, e per il mais in Europa meridionale (Italia e Francia).
Negli altri paesi, o per altre colture, al manifestarsi di questi plateau possono poi contribuire altri fattori, dai cambiamenti climatici, al degrado del territorio, alle politiche relative all'uso di fertilizzanti e pesticidi, fino a investimenti insufficienti.
In ogni caso, concludono gli autori, "la sopravvalutazione delle previsioni dei raccolti porta a stime del fabbisogno di terreni per la produzione di colture che sono troppo basse e riduce la capacità di pianificazione strategica efficace e la definizione delle priorità di ricerca per garantire la sicurezza alimentare futura e la conservazione delle risorse naturali”.
Da un articolo di famiglia cristiana :
Alberi, la natura alla riscossa
La foresta riguadagna terreno, anche "grazie" al ritiro delle terre coltivate. In testa alla graduatoria del verde l'Emilia Romagna e l'Umbria.
In Italia 12 miliardi di alberi
22/04/2012
Il bosco di Marzaglia, in provincia di Modena (foto di copertina: Reuters; le altre foto: Ansa).
Circa 200 alberi per ogni italiano. Il patrimonio forestale italiano è aumentato di 1,7 milioni di ettari negli ultimi 20 anni, raggiungendo oltre 10 milioni e 400 mila ettari di superficie, con 12 miliardi di alberi che ricoprono un terzo dell’intero territorio nazionale. La ragione dell'aumento dei boschi va ricercata principalmente nell'abbandono dei terreni agricoli che vengono riconquistati dalla natura.
E' questo il risultato dell'Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio, realizzato negli ultimi tre anni dal Corpo forestale dello Stato, con il coordinamento scientifico del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente. Tra le regioni più verdi d'Italia troviamo l'Emilia Romagna, che vanta la media più alta per ettaro con 1.816 alberi, seguita dall'Umbria con 1.815 e dalle Marche con 1.779, mentre le meno popolate di alberi per ettaro sono la Valle d'Aosta con 708 e la Sicilia con 760.
A questi importanti dati - raccolti capillarmente grazie a squadre di Forestali su tutto il territorio nazionale, una per provincia - si affiancano oggi i risultati dell’indagine sulla quantità di carbonio contenuto nei suoli forestali italiani. Questa attività, unica in Europa su così vasta scala, mette in evidenza il ruolo fondamentale che il suolo forestale svolge nello “stoccaggio” di carbonio organico, addirittura superiore a quello degli alberi.
La quantità di carbonio trattenuta nei tessuti, nei residui vegetali e nei suoli delle foreste, infatti, è pari a circa 1,2 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a 4 miliardi di tonnellate di CO2. Il 58 % di tutto il carbonio forestale è contenuto nel suolo, mentre quello accumulato nella vegetazione arborea e arbustiva è il 38 %. Il restante 4 % è presente nelle foglie secche, nei residui vegetali e nel legno morto. In particolare, il carbonio contenuto nel suolo è di oltre 700 milioni di tonnellate.
Il suolo dei boschi, quindi, è importante non solo per la loro funzione di difesa idrogeologica, di conservazione e tutela della biodiversità e di base per la produzione di legname, ma anche per la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto. “Il suolo italiano è uno dei più ricchi di biodiversità e vi si trovano una gran quantità di batteri, molti ancora sconosciuti, che possono risultare utili per sviluppare prodotti farmaceutici e la cosiddetta chimica verde” ha detto Giuseppe Alonzo, presidente del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura.
I dati sono stati presentati oggi a Roma, in un convegno svoltosi alla Coldiretti, alla presenza del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania e di quello dell'Ambiente Corrado Clini. “Purtroppo in Italia tendiamo sempre a pensare al breve termine, mentre l'investimento che facciamo con i boschi è importante perché è rivolto alle generazioni future” ha commentato Sergio Marini, presidente di Coldiretti.
Gabriele Salari
E' questo il risultato dell'Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio, realizzato negli ultimi tre anni dal Corpo forestale dello Stato, con il coordinamento scientifico del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente. Tra le regioni più verdi d'Italia troviamo l'Emilia Romagna, che vanta la media più alta per ettaro con 1.816 alberi, seguita dall'Umbria con 1.815 e dalle Marche con 1.779, mentre le meno popolate di alberi per ettaro sono la Valle d'Aosta con 708 e la Sicilia con 760.
A questi importanti dati - raccolti capillarmente grazie a squadre di Forestali su tutto il territorio nazionale, una per provincia - si affiancano oggi i risultati dell’indagine sulla quantità di carbonio contenuto nei suoli forestali italiani. Questa attività, unica in Europa su così vasta scala, mette in evidenza il ruolo fondamentale che il suolo forestale svolge nello “stoccaggio” di carbonio organico, addirittura superiore a quello degli alberi.
La quantità di carbonio trattenuta nei tessuti, nei residui vegetali e nei suoli delle foreste, infatti, è pari a circa 1,2 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a 4 miliardi di tonnellate di CO2. Il 58 % di tutto il carbonio forestale è contenuto nel suolo, mentre quello accumulato nella vegetazione arborea e arbustiva è il 38 %. Il restante 4 % è presente nelle foglie secche, nei residui vegetali e nel legno morto. In particolare, il carbonio contenuto nel suolo è di oltre 700 milioni di tonnellate.
Il suolo dei boschi, quindi, è importante non solo per la loro funzione di difesa idrogeologica, di conservazione e tutela della biodiversità e di base per la produzione di legname, ma anche per la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto. “Il suolo italiano è uno dei più ricchi di biodiversità e vi si trovano una gran quantità di batteri, molti ancora sconosciuti, che possono risultare utili per sviluppare prodotti farmaceutici e la cosiddetta chimica verde” ha detto Giuseppe Alonzo, presidente del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura.
I dati sono stati presentati oggi a Roma, in un convegno svoltosi alla Coldiretti, alla presenza del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania e di quello dell'Ambiente Corrado Clini. “Purtroppo in Italia tendiamo sempre a pensare al breve termine, mentre l'investimento che facciamo con i boschi è importante perché è rivolto alle generazioni future” ha commentato Sergio Marini, presidente di Coldiretti.
Gabriele Salari
Una app per salvare gli animali in via di estinzione
La silenziosa marcia notturna di un leone sul tuo iPhone. Non male! Photo credit: Zoological Society of London
Una nuova app per iPhone rilasciata dalla Zoological Society of London (ZSL) permette agli utenti di collegarsi in tempo reale con le telecamere sensibili al movimento installate vicino ad aree abitate da animali selvaggi in Kenya, Sri Lanka e Mongolia. È anche possibile seguire i movimenti nei pressi di una singola, specifica telecamera. Il software potrebbe aiutare gli esperti a monitorare la distribuzione delle popolazioni animali attraverso l'aiuto degli utenti (crowdsourcing), che potrebbero collaborare con gli zoologi all'identificazione delle specie localizzate.